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Concerto del vincitore Premio Nazionale della Arti 2018 in Direzione d'Orchestra - Alissya Venier

In una Europa dilaniata dalla guerra, nel 1917 Maurice Ravel licenzia l’originale pianistico del suo Tombeau de Couperin.
In una Europa su cui le ombre del nazismo si fanno sempre più lunghe, nel 1933 l’esule tedesco Kurt Weill licenzia a Parigi la sua seconda Sinfonia.

Pure la Passio Christi di Paolo Molinari vede la luce, in questo 2021, in un momento drammatico.

Imitazione di una suite barocca, il Tombeau de Couperin è un omaggio al compositore e clavicembalista François Copuerin, detto “il Grande”; tuttavia, come aveva pianificato e in parte stava realizzando il collega e rivale Debussy con le sei sonate (di cui solo tre furono scritte: quella per violoncello e pianoforte, quella per violino e pianoforte, quella per arpa, viola e flauto) è anche un omaggio alla musica francese tout court di due secoli antecedente. La versione pianistica incorpora tre movimenti di danza (Forlane, Rigaudon, Minuetto) e tre pezzi tipici della letteratura per tastiera (Preludio, Fuga, Toccata); forme tutte, ad ogni modo, consacrate e cristallizzate; ciascun brano è dedicato a uno degli amici del compositore caduti sul fronte, tra cui il marito della pianista Marguerite Long, protagonista nel 1919 presso la parigina Salle Gaveau della prima esecuzione del Tombeau stesso. La composizione non sembra riflettere il momento drammatico e doloroso, per il mondo e per Ravel (che, oltre all’angoscia per la guerra cui partecipò in prima persona, nel gennaio del ’17 perse la madre, fatto che lo gettò in una “orribile disperazione”), in cui vide la luce. Al contrario in ogni pezzo si trovano accenti scintillanti. La versione per orchestra, completata nel 1919, enfatizza questa caratteristica: da una compagine tutto sommato non troppo diversa da quella classica, con virtuosismo di scrittura e virtuosismo richiesto agli strumentisti, Ravel riesce a ottenere sonorità brillanti e cangianti, rese con una coerenza e naturalezza che ha del miracoloso.

Dei sei brani pianistici solo quattro sono orchestrati; nell’ordine: Preludio, Forlane, Minuetto, Rigaudon.
Il preludio si apre col famoso (e temuto) solo di oboe che verrà riproposto lungo tutto il pezzo, che conferisce al brano una brillantezza dal sapore arcaico.

La Forlane si apre con un tema dal ritmo ricercato e un poco spigoloso, sospeso tra mi maggiore e mi minore dorico; formalmente sembra di trovarsi davanti a una danza con trio e ripetizione senza ritornelli della prima parte, il tutto seguito da una ampia coda.
Il terzo pezzo, costellato di soli di legni, è il Minuetto con il suo trio e la sua elaborata ripresa.

Il Rigaudon conclusivo si apre energicamente a piena orchestra, in do maggiore, quasi a dipingere una scena di vivace frenesia; si contrappone una magica sezione centrale che evoca atmosfere notturne e quasi esotiche, dove un dialogo, prima di oboe e corno inglese, poi di flauto e clarinetto, è accompagnato dal placido pizzicare degli archi e arpa, come se si trattasse della sublimazione di una serenata; così come il pezzo era cominciato così si conclude, su un fortissimo in do maggiore.

La seconda Sinfonia di Kurt Weill è un brano di musica assoluta di un compositore che si era imposto autorevolmente nel campo del musica teatrale e che poteva vantare collaborazioni con figure culturali di spicco, primo fra tutti Bertold Brecht. Forse proprio questa familiarità col teatro, insieme alla concisione e chiarezza formale apprese alla scuola di Busoni (di cui Weill era stato allievo per ben tre anni), è all’origine della schiettezza e della facilità comunicativa di questa musica che, come il Tombeau de Couperin e in contrasto coi gigantismi orchestrali di stampo tardo romantico prima ed espressionista poi, impiega un’orchestra classica con fiati a due. E nonostante questa familiarità col teatro questa è musica che non è mai retta da idee programmatiche, tanto che Bruno Walter, direttore della prima esecuzione e figlio di una tradizione tardo romantica, chiedendo al compositore un titolo descrittivo per la sinfonia non ottenne altro in risposta che un generico e schumaneggiante Symphonische Fantaisie.

Articolata in tre movimenti chiusi, secondo il classico schema di un tempo lento tra due tempi veloci, la sinfonia presenta ad ogni modo momenti dalle tinte drammatiche, in particolare modo nel primo movimento. L’introduzione, tradizione che risale a Haydn e Beethoven, reca indicazione di tempo Sostenuto, è permeata dal ritmo di cinque note dell’incipit e vede un lungo ed espressivo solo di tromba che, modulando, porta al seguente Allegro molto che, pur essendo in forma sonata, segue percorsi tonali sorprendenti. Momenti di grande enfasi e urgenza si alternano a momenti di limpida cantabilità; un passaggio notevole si trova poco prima dell’energica conclusione, dove un discorso intessuto dai fiati si appoggia su di un delicato e trasparente ritmo, quasi di bolero, degli archi.

Il secondo movimento (Largo) è imperniato su un tema puntato che porta con sé echi quasi di marcia funebre. L’inizio stentoreo presenta una certa ambiguità tra modo maggiore e minore; quando lo spessore orchestrale si assottiglia, dopo un discreto fraseggiare di violoncello solo e flauti, possiamo sentire un solo di trombone su uno sfondo uniforme, momento che, con le dovute proporzioni, ad alcuni commentatori ha ricordato il solo di tuba in Bydlo dai Quadri di un’esposizione nell’orchestrazione di Ravel. Weill mostra una certa abilità nel combinare i temi man mano presentati, tanto che il discorso si snoda sempre in maniera coerente ed efficace sin dal primo ascolto. Il movimento termina quietamente con il materiale iniziale sopra un ostinato di timpani che sposta l’attenzione sulla scansione ritmica dell’accompagnamento; questa sorta di idea circolare, cioè di concludere il movimento con la reminiscenza dell’inizio, e la scansione ritmica stessa sembrano rendere omaggio all’Allegretto della settima Sinfonia di Beethoven, uno dei momenti universalmente più amati della storia della musica. Il movimento conclusivo porta indicazione di tempo Allegro vivace. Si tratta di un rondò dal carattere spigliato, con passaggi di una vivacità quasi mozartiana dove non si lesina un impiego virtuosistico degli strumenti a fiato e un certo impegno tecnico per l’intera orchestra. A momenti l’atmosfera assume una certa tinta grottesca, ad esempio nella sezione Alla marcia e nella parossistica tarantella che, su un deciso accordo di do maggiore, conclude l’intera sinfonia.

Fresca di composizione, la Passio Christi di Paolo Molinari reca la dedica nientemeno che a Igor Stravinsky, a pochi giorni dal cinquantesimo anniversario della scomparsa. E volendo, sin dall’iniziale Allegro sostenuto ed energico, vuoi per le sottigliezze ritmiche, per il massiccio uso degli ottoni e per una certa vicinanza tematica, il compositore, facendo propri tutti questi elementi, sembra effettivamente evocare lo spirito del grande russo all’epoca dei suoi grandi balletti parigini. Sette i momenti che, nel brano, si susseguono senza soluzione di continuità, ciascuno dotato di una propria distintiva atmosfera pur mantenendo una coerenza tematica lungo il dipanarsi del discorso musicale. Prima del Maestoso conclusivo, caratterizzato da una poderosa verticalità ritmica, abbiamo la ripresa del materiale dell’inizio. L’impasto orchestrale sembra voler pure rendere omaggio alle soluzioni coloristiche proprie di un altro grande russo, Alexander Scriabin. Il concerto si snoda quindi in un programma variegato, per stili e sonorità, e vede protagonisti una pietra miliare del repertorio (Ravel), una novità assoluta (Molinari) e una rarità (Weill).

 Impegnata nell’esecuzione è l’Orchestra Senzaspine, realtà bolognese nata nel 2013 e ormai affermata sul territorio e a livello nazionale; realtà che sin dai primi mesi di vita collabora attivamente con il Conservatorio. Sul podio troviamo la nostra laureanda al Biennio di Direzione d’Orchestra Alissia Venier, musicista che può vantare esperienze professionali nazionali e internazionali e, nel 2018, insignita del prestigioso Premio Nazionale delle Arti. Fabio Gentili