Carlo
G. (XVI–XVII sec.)
Tota
pulchra es
(solista:
Cleonice Sabrina Bortolotti)
Carlo
G. Haec
est virgo
(solista:
Selene Xu Ping)
Carlo
G. Convertisti
planctum
(solista:
Yui Mochizuki)
Bartolomeo
Barbarino (ca. 1568 – ca. 1617) Cantate
Domino canticum novum
(solista:
Maria Teresa Becci)
Carlo
G. Sub
umbra illius
(solista:
Cleonice Sabrina Bortolotti)
Giulio
Caccini (1551–1618) Benche
sovra le stelle / Deus Dominus meus
(solista:
Selene Xu Ping)
Paolo
Quagliati (ca. 1555–1628) Alma
mater pietatis
(solista:
Maria Teresa Becci)
Girolamo
Frescobaldi (1583–1643)
Da
“Toccate e partite d’intavolatura, Libro 2”, Toccata seconda (solista:
Michele Barbieri)
Girolamo
Giacobbi (1567–1629) Luce
gratiae tuae
(solista:
Daniele Salvatore)
Anonimo Amor
Jesu dulcissime
(soliste:
Debora Govoni, Yui Mochizuki)
Luca
Marenzio (1553–1599) Sic
parasti cor meum
(soliste:
Maria Teresa Becci, Selene Xu Ping)
Il
“manoscritto di Carlo G” costituisce una fonte eccezionalmente importante sia
nel campo del basso continuo che dell’ornamentazione vocale. Risalente ai primi
anni del Seicento, il manoscritto contiene circa 300 pagine di accompagnamenti
per tastiera — completi nelle due mani — a monodie e duetti riccamente ornati;
questo manoscritto è probabilmente una delle fonti più ricche e particolari
sopravvissute e quasi unica nel suo genere.
Il
manoscritto contiene 89 brani liturgici e paraliturgici in latino per una o due
linee vocali riccamente ornate e accompagnamento tastieristico. Il contenuto
mostra 55 mottetti per una voce e organo (di cui quattro ripetuti, con la parte
d’organo sostituita da un’intavolatura di chitarrone), 23 mottetti a due
voci e organo, un mottetto a due voci e basso continuo e un mottetto per
quattro cantanti e due organi (due gruppi di esecutori ciascuno con due voci e
organo). Oltre ai mottetti vocali, ci sono cinque toccate strumentali che
servono da “preludio” a specifici mottetti.
Dei
brani manoscritti, 75 sono composizioni di Carlo G, l’oscuro redattore del
manoscritto il cui nome appare per intero solo nell’indice del manoscritto (nel
resto del manoscritto vengono usate solo le iniziali C G) dove purtroppo è reso
illeggibile da una macchia di inchiostro. Oltre alle composizioni di Carlo G,
il manoscritto comprende alcuni brani (probabili arrangiamenti) di Giulio
Caccini, nel manoscritto chiamato Giulio Romano, Luca Marenzio, Paolo
Quagliati, Girolamo Giacobbi e Bartolomeo Barbarino. Solo il brano di Marenzio
è stato ritrovato in altre fonti, pertanto allo stato attuale delle ricerche
tutti gli elementi del manoscritto vanno considerati unica. Anche una sezione di un secondo brano del manoscritto è
stato ritrovato altrove; la sezione in questione è collocata nell’ “Alleluia”
del mottetto Mater Hierusalem.
Nel manoscritto il redattore scrive: «Passo d’Oratio Vecchi del
madrigale quella ch’in mille selve à 5». Un confronto in effetti dimostra che
il passo di Vecchi proviene da un suo madrigale a cinque voci”, Quella ch’in
mille selve, copiato e
riutilizzato in quella che, oltre ad essere trasposta di un tono, risulta, per
il resto, essere una composizione originale di Carlo G.
Considerando i riferimenti a
brani della fine degli anni Ottanta del Cinquecento (i madrigali di Marenzio e
Vecchi), il periodo generale di fioritura degli altri compositori citati nel
manoscritto e le somiglianze con altre fonti musicali, sembra possibile che il
“manoscritto Carlo G” sia stato trascritto e in uso nel periodo compreso tra il
1600 e il 1620 circa. Poiché esistono diverse fonti correlate di ambito romano si
è ipotizzato che Carlo G provenisse da qualche parte di Roma o da una
istituzione con collegamenti romani.
Secondo il redattore del
manoscritto, dieci degli 89 mottetti del manoscritto sono arrangiamenti da
brani polifonici a sei, sette o otto voci. È probabile che anche il resto dei
brani, o almeno alcuni di essi, non fossero monodie o duetti originali, ma
arrangiamenti di composizioni polifoniche. È piuttosto difficile dimostrare che
i brani a voce sola del “manoscritto di Carlo G” siano stati composti
originariamente come monodie e non siano arrangiamenti di una fonte polifonica,
però l’esempio attribuito a Caccini (Benche sovra le stelle / Deus dominus
meus), autore di cui è nota la familiarità con la scrittura monodica, che
mostra notevoli somiglianze stilistiche con la sua produzione monodica, induce
a pensare che questo pezzo potesse non essere originariamente polifonico ma
monodico. Anche altri brani mostrano alcune delle caratteristiche tipiche della
scrittura monodica, e questo fatto induce a ritenere che molti altri pezzi
potrebbero essere nati come monodie. Purtroppo la mancanza di originali con cui
confrontare il resto della produzione rende vano ogni tentativo di dare una
risposta definitiva.
Un’ultima considerazione riguarda
i testi. Carlo G non si limitava a prendere in prestito e ad arrangiare brani
ma li rivestiva anche di testi nuovi (come è evidente nel madrigale di Marenzio
e nel passo di Vecchi). La citata monodia di Caccini è presentata con due testi
in lingue diverse: italiano e latino. Forse il testo italiano è tratto dal
brano originale (che però non ci è noto da altre fonti) e il testo latino è un contrafactum
di Carlo G. Probabilmente anche i brani di Quagliati e Giaccobi sono contrafacta;
entrambi i loro testi sono unica e
non si trovano nelle fonti liturgiche. Questi brani potrebbero essere stati
presi in prestito, “contraffatti” e arrangiati da Carlo G per le sue esigenze.
Poiché questi pezzi sono contrafacta, trovare le loro fonti originali
basate sulla musica stessa è difficile, qualora siano sopravvissute.
In conclusione, il “manoscritto
di Carlo G” potrebbe essere visto come una sorta di ibrido tra la tradizione
rinascimentale e lo stile del primo barocco, sia nella musica che nella
notazione: musicalmente, il manoscritto dimostra che il mottetto è ancora molto
legato alla sua origine polifonica, eppure allo stesso tempo si avvicina
all’espressiva e “moderna” monodia del primo Seicento. La notazione, come in
altre fonti dell’inizio dell’era del “basso continuo”, è sperimentale;
rappresenta un anello temporaneo nel processo che si concluderà con la standardizzazione
della notazione del basso continuo. I confini tra un mottetto polifonico
arrangiato e una monodia originale sono evidentemente vaghi e il fatto che
l’intavolatura scritta esemplifichi le caratteristiche di ciò che conosciamo
del primo continuo può arricchire la nostra comprensione di quel periodo e
delle sue pratiche esecutive.