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Il manoscritto di Carlo G.

Ensemble di musica barocca del Conservatorio G.B. Martini

Maria Teresa Becci, soprano
Cleonice Sabrina Bortolotti, soprano
Debora Govoni, soprano
Selene Xu Ping, soprano
Yui Mochizuki, mezzosoprano
Daniele Salvatore, flauto dolce soprano
Federica Bettelli, viola da gamba
Michele Barbieri, clavicembalo

Programma di Sala

Carlo G. (XVI–XVII sec.)
Tota pulchra es
(solista: Cleonice Sabrina Bortolotti)  

Carlo G.
Haec est virgo
(solista: Selene Xu Ping)  

Carlo G.
Convertisti planctum
(solista: Yui Mochizuki)  

Bartolomeo Barbarino (ca. 1568 – ca. 1617)
Cantate Domino canticum novum
(solista: Maria Teresa Becci)  

Carlo G.
Sub umbra illius
(solista: Cleonice Sabrina Bortolotti)  

Giulio Caccini (1551–1618)
Benche sovra le stelle / Deus Dominus meus
(solista: Selene Xu Ping)  

Paolo Quagliati (ca. 1555–1628)
Alma mater pietatis (solista: Maria Teresa Becci)  
Girolamo Frescobaldi (1583–1643)
Da “Toccate e partite d’intavolatura, Libro 2”, Toccata seconda
(solista: Michele Barbieri)  

Girolamo Giacobbi (1567–1629)
Luce gratiae tuae

(solista: Daniele Salvatore)  

Anonimo 
Amor Jesu dulcissime
(soliste: Debora Govoni, Yui Mochizuki)  

Luca Marenzio (1553–1599)
Sic parasti cor meum
(soliste: Maria Teresa Becci, Selene Xu Ping)


Il “manoscritto di Carlo G” costituisce una fonte eccezionalmente importante sia nel campo del basso continuo che dell’ornamentazione vocale. Risalente ai primi anni del Seicento, il manoscritto contiene circa 300 pagine di accompagnamenti per tastiera — completi nelle due mani — a monodie e duetti riccamente ornati; questo manoscritto è probabilmente una delle fonti più ricche e particolari sopravvissute e quasi unica nel suo genere. Il manoscritto contiene 89 brani liturgici e paraliturgici in latino per una o due linee vocali riccamente ornate e accompagnamento tastieristico. Il contenuto mostra 55 mottetti per una voce e organo (di cui quattro ripetuti, con la parte d’organo sostituita da un’intavolatura di chitarrone), 23 mottetti a due voci e organo, un mottetto a due voci e basso continuo e un mottetto per quattro cantanti e due organi (due gruppi di esecutori ciascuno con due voci e organo). Oltre ai mottetti vocali, ci sono cinque toccate strumentali che servono da “preludio” a specifici mottetti. Dei brani manoscritti, 75 sono composizioni di Carlo G, l’oscuro redattore del manoscritto il cui nome appare per intero solo nell’indice del manoscritto (nel resto del manoscritto vengono usate solo le iniziali C G) dove purtroppo è reso illeggibile da una macchia di inchiostro. Oltre alle composizioni di Carlo G, il manoscritto comprende alcuni brani (probabili arrangiamenti) di Giulio Caccini, nel manoscritto chiamato Giulio Romano, Luca Marenzio, Paolo Quagliati, Girolamo Giacobbi e Bartolomeo Barbarino. Solo il brano di Marenzio è stato ritrovato in altre fonti, pertanto allo stato attuale delle ricerche tutti gli elementi del manoscritto vanno considerati unica. Anche una sezione di un secondo brano del manoscritto è stato ritrovato altrove; la sezione in questione è collocata nell’ “Alleluia” del mottetto Mater Hierusalem. Nel manoscritto il redattore scrive: «Passo d’Oratio Vecchi del madrigale quella ch’in mille selve à 5». Un confronto in effetti dimostra che il passo di Vecchi proviene da un suo madrigale a cinque voci”, Quella ch’in mille selve, copiato e riutilizzato in quella che, oltre ad essere trasposta di un tono, risulta, per il resto, essere una composizione originale di Carlo G. Considerando i riferimenti a brani della fine degli anni Ottanta del Cinquecento (i madrigali di Marenzio e Vecchi), il periodo generale di fioritura degli altri compositori citati nel manoscritto e le somiglianze con altre fonti musicali, sembra possibile che il “manoscritto Carlo G” sia stato trascritto e in uso nel periodo compreso tra il 1600 e il 1620 circa. Poiché esistono diverse fonti correlate di ambito romano si è ipotizzato che Carlo G provenisse da qualche parte di Roma o da una istituzione con collegamenti romani. Secondo il redattore del manoscritto, dieci degli 89 mottetti del manoscritto sono arrangiamenti da brani polifonici a sei, sette o otto voci. È probabile che anche il resto dei brani, o almeno alcuni di essi, non fossero monodie o duetti originali, ma arrangiamenti di composizioni polifoniche. È piuttosto difficile dimostrare che i brani a voce sola del “manoscritto di Carlo G” siano stati composti originariamente come monodie e non siano arrangiamenti di una fonte polifonica, però l’esempio attribuito a Caccini (Benche sovra le stelle / Deus dominus meus), autore di cui è nota la familiarità con la scrittura monodica, che mostra notevoli somiglianze stilistiche con la sua produzione monodica, induce a pensare che questo pezzo potesse non essere originariamente polifonico ma monodico. Anche altri brani mostrano alcune delle caratteristiche tipiche della scrittura monodica, e questo fatto induce a ritenere che molti altri pezzi potrebbero essere nati come monodie. Purtroppo la mancanza di originali con cui confrontare il resto della produzione rende vano ogni tentativo di dare una risposta definitiva. Un’ultima considerazione riguarda i testi. Carlo G non si limitava a prendere in prestito e ad arrangiare brani ma li rivestiva anche di testi nuovi (come è evidente nel madrigale di Marenzio e nel passo di Vecchi). La citata monodia di Caccini è presentata con due testi in lingue diverse: italiano e latino. Forse il testo italiano è tratto dal brano originale (che però non ci è noto da altre fonti) e il testo latino è un contrafactum di Carlo G. Probabilmente anche i brani di Quagliati e Giaccobi sono contrafacta; entrambi i loro testi sono unica e non si trovano nelle fonti liturgiche. Questi brani potrebbero essere stati presi in prestito, “contraffatti” e arrangiati da Carlo G per le sue esigenze. Poiché questi pezzi sono contrafacta, trovare le loro fonti originali basate sulla musica stessa è difficile, qualora siano sopravvissute. In conclusione, il “manoscritto di Carlo G” potrebbe essere visto come una sorta di ibrido tra la tradizione rinascimentale e lo stile del primo barocco, sia nella musica che nella notazione: musicalmente, il manoscritto dimostra che il mottetto è ancora molto legato alla sua origine polifonica, eppure allo stesso tempo si avvicina all’espressiva e “moderna” monodia del primo Seicento. La notazione, come in altre fonti dell’inizio dell’era del “basso continuo”, è sperimentale; rappresenta un anello temporaneo nel processo che si concluderà con la standardizzazione della notazione del basso continuo. I confini tra un mottetto polifonico arrangiato e una monodia originale sono evidentemente vaghi e il fatto che l’intavolatura scritta esemplifichi le caratteristiche di ciò che conosciamo del primo continuo può arricchire la nostra comprensione di quel periodo e delle sue pratiche esecutive.