Sabato 2 dicembre, ore 18
Sala Bossi
Concerto realizzato in collaborazione con:
Biblioteca Italiana delle Donna
Rotary eClub 2072
Fidapa
Casa delle Donne per non subire violenza - Bologna
Programma:
Mel Bonis (1858-1937)
Toccata
Alessandra
Di Benedetto,
organo
Elizabeth Jaquet
de La Guerre
(1665-1729)
Tre
brani estratti dalla Suite n.3 Preludio, Giga, Ciaccona
Yui
Mochizuki,
clavicembalo
Marianne Martinez (1744-1812)
Sonata
in La maggiore
Laura
di Cera,
fortepiano
Clara
Wieck-Schumann
(1819-1897)
dalle
Soirées Musicales op.6, Toccatina
Noa
Draghetti,
pianoforte
Pauline
Viardot-Garcia
(1812-1910)
dai
Pieces pour Piano (1885), Sérénade
Sofia
Cristano
Fanny
Mendelssohn-Hensel
(1805-1847)
da
Das Jahr: Gennaio, Dicembre
Alessandro
Lunghi
Cécile Chaminade (1857-1944)
dagli
Etude de Concert op.132, Etude Romantique
Yemin
Park
Maria
Wołowska-Szymanowska
(1789-1831)
dai
Vingt Exercices et Préludes pour le pianoforte (1819), Studio n.5
Margherita
Casamonti
Amy Beach (1867-1944)
dai
Four Sketches op.15, Fire-Flies
Margherita
Casamonti
Ethel Smyth (1858-1944)
dai
Two Canons, Notturno
Matilde
Bianchi
Lili Boulanger (1893-1918)
dai
Trois Morceaux pour Piano: Cortège
Sofia
Cristano
Agathe Backer
Grøndahl
(1847-1907)
dagli
Etude de Concert op.11, n.1
Margherita
Casamonti
Mel Bonis
Au
Crépuscule
Iacopo
Ciani
Germanie
Tailleferre
(1892-1983)
Intermezzo,
per due pianoforti
Noa
Draghetti-Francesco Brazioli
Irene Giblin (1888-1974)
Chicken
Chowder Ragtime
Tommaso
Malaguti
Ivana Lang (1912-1982)
dai
Quattro Pezzi op.50: Toccata e Waltz
Tommaso
Malaguti
Sofia Gubaidulina (1931)
dalla
Sonata per pianoforte, III mov. Allegretto
Elena Janeva
«Divina
musica, tu registri i sogni, le aspirazioni verso una felicità che non esiste
quaggiù. È il
linguaggio
dell’anima ardente e tenera, che in lei trova gli accenti essenziali, le parole
sono troppo
materiali
per raccontare le meraviglie suggerite dallo spirito».
Apriamo
il programma con questo estratto dai diari di Mel Bonis, autrice del primo - e
del
tredicesimo
- brano della serata e donna esemplare per l’intento della rassegna. Ogni epoca
ha
visto
sorgere il talento in una moltitudine di persone, indipendentemente dal genere
e,
parzialmente,
dall’estrazione sociale. Il mondo accademico ha promosso per molto tempo una
narrazione
degli eventi che esclude certi elementi, omessi in quanto “poco importanti”,
pregiudicando
l’immagine che ognuno ha della storia della musica. Ampliando lo sguardo
scopriamo
invece una moltitudine di personaggi, che hanno influenzato il percorso storico
e l’opera
degli
autori più conosciuti, e che quindi hanno avuto un ruolo tanto nella formazione
dei canoni
quanto
nella loro rielaborazione - o che semplicemente hanno generato bella musica
senza la
pretesa
di inventare il futuro.
La
scelta della musica per questa sera - in generale di breve durata - ha un
intento principalmente
esplorativo,
e ci auguriamo che esorti il pubblico ad esplorare il catalogo di ognuna di
queste
compositrici.
Riprendendo
l’estratto in apertura, l’opera e la vita di Mel Bonis (1858-1937) possono
riassumersi
con
due parole: musica e spiritualità. Molte delle opere nel suo catalogo infatti
nascono dalla
necessità
di celebrare il rapporto col divino, ispirandosi a scene bibliche, utilizzando
testi
devozionali
ed esplorando gli elementi più evocativi della musica. Non è un caso dunque
che, oltre
alla
copiosa produzione per pianoforte, Bonis abbia approfondito la scrittura per
organo -
strumento
che studiò al Conservatoire di Parigi con Cesar Franck - per il quale compose
numerose
opere
fra il 1911 e il 1937, destinate sia al servizio liturgico sia al repertorio
laico, fra le quali si
annovera
anche la Toccata op. 97. Le vicende di vita personale la videro prendere una
pausa
dalla
pubblicazione di circa 15 anni e nonostante fosse un’ottima pianista la sua
carriera si
concentrò
principalmente sulla composizione. Inizialmente in stile tardo-romantico Bonis
estese poi
il
proprio stile ad una maggiore sperimentazione, che l’annovera oggi fra i
compositori
impressionisti.
Bonis
rientra nella lunga lista di personaggi femminili influenti nel mondo della
musica francese,
inaugurata
da Clementine de Bourges nel Rinascimento e continuata da Elisabeth Jaquet de
la
Guerre
(1665-1729) nella seconda metà del Seicento. Il suo impatto nella scena
musicale coeva
era
dovuto ad una originalità stilistica che, come per altri artisti patrocinati
dal Re Sole, univa
elementi
della musica strumentale italiana e della tradizione cembalistica francese.
I
Pieces pour Clavecin, dai quali è tratta la Suite in Re minore, furono la prima
pubblicazione
dell’autrice
- ad essi precedettero delle opere purtroppo perdute - nonché le creazioni con
cui iniziò
ad
essere apprezzata dai contemporanei. A partire dal Preludio, i brani delle
Suite sono composti
secondo
il gusto dell’epoca per danze e demandano ad un’eloquenza tipica della
tradizione
estemporanea
e improvvisativa.
De
la Guerre condivide con molte autrici e autori un passato da enfant prodige.
Una di questi fu
Marianne
Martinez (1744-1812), pianista e cantante i cui legami con personaggi influenti
le
permisero
di costruire una posizione di rispetto nella scena musicale viennese del Primo
Classicismo,
fin dalla prima adolescenza, costituendosi ad oggi fra le autrici più eseguite
del
periodo
- soprattutto su strumenti d’epoca e in contesti di prassi storicamente
informata.
Fra
le numerose opere che compose, nello stile e nelle forme dei suoi maestri e
contemporanei
Haydn
e Mozart, vi sono anche sonate per strumenti a tastiera. Pubblicata come parte
di una
raccolta
di sonate scelte, la Sonata in La maggiore presenta un intento sperimentale dal
punto di
vista
della forma e un’evidente influenza delle sonate di Scarlatti, facendo da
“ponte” fra lo stile
viennese
e quello italiano, riflettendo allo stesso tempo un personale tipo di
comunicatività.
La
maggior parte delle autrici vissute fino a tutto l’Ottocento proveniva da
famiglie della piccola
nobiltà,
come Martinez, oppure era figlia d’arte, come De la Guerre. Anche Clara
Wieck-Schumann
(1819-1897)
proveniva da una famiglia di musicisti ed è ad oggi tra gli enfant prodige
più
celebri della storia della musica. La rigida educazione a cui fu sottoposta
causò col tempo un
forte
conflitto interno, che la vide combattere fra ispirazione artistica e ruolo
sociale: nonostante il
supporto
altrui, riteneva che comporre per esibire le proprie doti fosse più
accettabile, in quanto
donna,
che farlo per ragioni intellettuali. Ultima vera rappresentante della cultura
Biedermeier,
componeva
opere ad uso esclusivamente concertistico e improntate sulla propria tecnica
pianistica,
che la fecero entrare di diritto nell’olimpo dei più grandi virtuosi del
pianoforte di sempre.
Nonostante
col tempo abbia abbandonato la composizione per dedicarsi esclusivamente alla
carriera
da esecutrice, Wieck-Schumann ha lasciato un certo numero di opere, che
riflettono la
freschezza
di spirito della gioventù. Fra queste vi sono le Soirées Musicales op.6, sei
brani basati
su
forme all’epoca in voga, composti in adolescenza e che complessivamente
mostrano la grande
maturità
artistica e performativa della giovane. Primo brano della raccolta, la
Toccatina risulta
brillante
e agitata, fusione di bravura tecnica ed espressività.
Anche
Pauline Viardot-Garcia (1821-1910) fu a suo modo un prodigio giovanile e un
punto di
riferimento
importante per la scena musicale coeva. Proveniente da una famiglia di
cantanti, iniziò
la
propria attività già a otto anni, accompagnando al pianoforte le lezioni del
padre e poi studiando
a
Parigi coi maggiori pianisti e compositori dell’epoca. Nonostante i risultati
promettenti, intorno ai
sedici
anni concentrò le proprie energie nella carriera operistica, succedendo alla
celebre defunta
sorella
Maria Malibran. Una volta sposata divenne un elemento centrale per l’ambiente
francese,
fungendo
da madrina artistica per numerosi fra gli autori oggi più conosciuti, lavorando
successivamente
per portare la musica russa in Europa e collaborando con numerosi scrittori di
rilievo.
Avendo
un rapporto viscerale col canto, la maggior parte delle sue opere appartiene al
repertorio
vocale
- ma questo legame si riflette anche nella sua produzione strumentale, dalla
forte
componente
melodica e cantabile. Nella Sérénade, seconda dei due Pieces pour Piano (1885)
emergono
l’esperienza col canto lirico e il dramma, inseriti in una dimensione
pianistica
miniaturistica,
che ci trasportano in una Spagna fantastica e passionale.
Nessuno
ha saputo quanto deve essere difficile emanciparsi dall’ombra fraterna quanto
Fanny
Mendelssohn-Hensel
(1805-1847), ad essa tutt’ora ingiustamente accostata. A differenza di
Viardot,
Hensel ebbe una carriera profondamente limitata dalla volontà della sua
famiglia e fu in
condizione
di esprimersi come professionista solo una volta sposata, assumendo il cognome
del
marito
nella pubblicazione delle opere come una sorta di licenza di libertà - cognome
col quale,
dunque,
è preferibile chiamarla ancora oggi. La sua produzione, di pieno stile
romantico, riflette
l’educazione
ricevuta all’insegna della tradizione, del contrappunto e dello studio
approfondito
dell’armonia
e delle forme canoniche, ed è dunque ampia e variegata. Anche se in essa
risulta
evidente
l’assidua pratica strumentale, appare chiaro come, a differenza di Clara
Schumann, nelle
sue
intenzioni vi fosse più creare opere di intelletto che cimentarsi in
dimostrazioni di abilità.
Di
respiro ampio ed esplorativo, il ciclo Das Jahr (L’Anno) - da cui ascolteremo
Gennaio e
Dicembre
- consta di dodici brani, uno per ogni mese, composti incanalando l’atmosfera
tipica di
ogni
periodo: si tratta di un’opera d’arte sinergica e multidisciplinare, ricca di
riferimenti
intertestuali,
nella quale l’autrice unisce la propria musica a testi poetici e illustrazioni,
ad opera del
marito,
per creare qualcosa che vada oltre la semplice esperienza uditiva - anticipando
di molto le
teorie
wagneriane di “opera d’arte totale”, la formalizzazione della “musica a
programma” e i
concerti
sperimentali di Satie.
Ogni
artista ha dovuto trovare la propria dimensione professionale, soprattutto a
patire dalla
seconda
metà dell’Ottocento, con l’aumento generalizzato di donne lavoratrici: dovendo
combattere
lo stigma, ritagliarsi uno spazio era dunque necessario, per quanto difficile.
In questo
periodo
quando una donna vuole vivere di musica l’ambiente musicale rivolge su di lei
una grande
lente
d’ingrandimento, per cercare difetti da implicare alla sua appartenenza di
genere. Il difficile
rapporto
con la critica musicale di Cécile Chaminade (1857-1944) fu alla base della
scelta di
condensare
la propria attività nel genere della miniatura pianistica - che tuttavia non la
impegnò in
modo
esclusivo: le opere di ampio respiro e i cicli (per pianoforte solo, formazioni
cameristiche e
sinfoniche)
rientrano infatti fra le sue opere di miglior fattura.
Fra
i numerosi lavori antologici del suo catalogo, quello degli Etude de Concert
op.35 e op 132 è certamente
il
più conosciuto ed eseguito, apprezzato tanto dal pubblico quanto dai
concertisti, fin dalla sua
prima
pubblicazione. A differenza degli studi da concerto di altri autori, gli Etude
di Chaminade
contengono
diversi elementi tecnici, e sono suddivisi in tre parti in contrasto
espressivo.
La
tradizione pianistica romantica e tardo-romantica di autori come Chaminade,
trova le sue radici
nei
compositori nati a cavallo fra Sette e Ottocento, dalla cui esperienza in
seguito si sono
stabilizzati
vari filoni (come il Biedermeier, di cui fu esponente Clara Wieck-Schumann, o
la
tradizione
chopiniana): tra questi vi fu la polacca Maria Wołowska-Szymanowska
(1789-1831).
Pianista
celebre e acclamata, che collaborò con alcuni dei maggiori artisti dell’epoca
(fra cui
Giuditta
Pasta, Luigi Cherubini e tanti altri) Szymanowska si cimentò in composizioni
pianistiche,
nonché
cameristiche e orchestrali, di carattere brillante e dalla tecnica
virtuosistica, dalle quali
emerge
l’estetica tipica di quella stessa Polonia che diede i natali a Chopin - sul
quale ebbe una
notevole
influenza - arricchita da un uso personale dell’armonia.
Attiva
e acclamata tanto come esecutrice quanto come compositrice, possedeva un
approccio
innovativo
al pianoforte, lirico e virtuosistico, e si esibiva principalmente a memoria
ben prima della
succitata
Schumann o di Liszt. Fra le sue opere didattiche spiccano i Vingt Exercices et
Préludes
pour
le pianoforte (1819), dai quali stasera ascolteremo il breve e movimentato
Prelude n.18.
Ogni
compositrice ha vissuto la propria carriera in rapporto diverso con l’ambiente
culturale
circostante:
mentre Chaminade si trovava in conflitto con la critica e con molti dei
colleghi, Amy
Beach
(1867-1944) fu fin da subito parte integrante dell’ambiente musicale americano,
arrivando a
influenzare
fortemente le tendenze stilistiche nazionali e contribuendo alla formazione
delle prime
reti
sociali fra compositrici - storicamente isolate fra loro - ottenendo una
posizione stabile nel
repertorio
a livello internazionale. La diffusione del repertorio di Beach è oggi
disomogenea: a
differenza
di altri paesi, in Italia è raro che la sua musica venga eseguita e che gli
stessi musicisti e
musicologi
ne conoscano il lavoro. Eppure anche qui il suo nome era conosciuto, grazie
alla
dedizione
con cui organizzava le proprie tournée concertistiche internazionali - passò
molto tempo
fra
Roma e Como, esibendosi con successo in diverse città della Penisola.
Attratta
fin dall’infanzia dai canti degli uccelli, che incorporava spesso nelle
composizioni, e dalla
musica
di origine popolare, si cimentò spesso in composizioni che uniscono tradizione
armonica e
ricerca
melodica, arricchita dall’osservazione dei suoni della natura. A questi
elementi che attinse
anche
per la composizione dei Four Sketches op.15, dai quali Fire Flies è tratto: il
volo delle
lucciole
è rappresentato dall’andamento rapido e fluido della mano destra, sottolineato
dal
“lampeggiare”
del basso, ed è evocato da una generale atmosfera di leggerezza.
Anche
Ethel Smyth (1858-1944) contemporanea e quasi coetanea di Chaminade e Beach, fu
più
celebre
in vita di come risulta oggi. Dotata di presenza e personalità prorompenti,
Smyth fu
coinvolta
nei moti del primissimo femminismo - trovandosi in aperto disaccordo con le
succitate
colleghe
sulle questioni politiche e sociali - e usò la propria determinazione per
ritagliarsi uno
spazio
nell’ambiente musicale coevo, affermandosi come operista e divenendo conosciuta
a livello
internazionale
come autrice di composizioni monumentali.
Le
sue opere pianistiche sono per la maggior parte giovanili, composte prima o
poco dopo il suo
ingresso
in conservatorio - e pubblicate solo di recente - nate come esercizi “di stile”
nei quali
tuttavia
trova spazio un interessante sperimentalismo. Il Notturno in Do minore, primo
dei Two
Canons
(c.a 1880), è infatti il risultato della sua capacità unica di rendere poetico
un esercizio
scolastico
- un canone a inversione - unendo l’atmosfera introspettiva delle forme antiche
con
l’espansività
dell’estetica romantica.
Mentre
la fama di Smyth si è consumata nel tempo, quella di Marie-Juliette Olga (Lili)
Boulanger
(1893-1918)
si è mantenuta fino ad oggi, rientrando tra le poche figure femminili note
anche nel
contesto
musicale italiano. Similmente a molte sue predecessore, Boulanger era figlia
d’arte, ma a
differenza
della maggior parte delle artiste ricevette un sostegno duraturo sia dalla
famiglia che
dall’ambiente
circostante. La sua vita fu spezzata a soli 24 anni, non senza il
raggiungimento di
notevoli
successi professionali - intervallati dalle sofferenze della malattia: fra i
pochi autori a
firmare
un contratto con Ricordi in gioventù e fondatrice di associazioni per il
sostegno ai musicisti,
Boulanger
fu la prima donna a vincere l’ambìto Prix de Rome, componendo numerose opere di
grande
qualità. Spesso ci si è chiesti quali risultati straordinari avrebbe potuto
raggiungere la sua
arte,
a giudicare almeno dalle opere che ha lasciato, se la vita le avesse concesso
più tempo.
Esemplificative
di questo futuro glorioso sono le Trois Morceaux: composte nel 1914,
trasportano
l’ascoltatore
in varie e diversificate atmosfere, fra malinconia e senso di sospensione, come
in
D’un
jardin Claire, e vitalità, come in Cortège.
La
famiglia della norvegese Agathe Backer Grøndahl (1847-1907) - sorella della
celebre pittrice
impressionista
Harriet Becker - sostenne i suoi studi solo finché non decise di fare della
musica
una
carriera, ritenendo, come anche il suo famoso maestro Theodor Kullak, che
dovesse
mantenerla
allo stato di “ornamento”. Agathe non ebbe mai dubbi e, anche dopo il
matrimonio,
condusse
una carriera completa senza accettare limitazioni. Dividendosi fra
composizione,
insegnamento
e attività concertistica internazionale (interrotta con la perdita completa
dell’udito)
Grøndahl
si cimentò in ogni tipologia di opere strumentali e vocali, soprattutto
pianistiche,
lavorando
con alcuni dei più importanti autori suoi contemporanei - dei i quali Grieg fu
il suo più
grande
estimatore.
Nel
suo catalogo godono di una certa celebrità i 6 Etude de Concert op.11, il primo
set di questo
tipo
in cui si cimentò, che riflettono da un lato le influenze del repertorio della
sua formazione -
Brahms,
Chopin, Grieg - e dall’altro uno stile personale, che combina tecnica
pianistica e lirismo
all’interno
del format dello Studio. Il primo, dedicato proprio a Kullak, è incentrato su
un solo
specifico
tipo di tecnica pianistica e mostra la bravura sia tecnica che didattica
dell’autrice.
Nell’arco
della sua travagliata esistenza, Mel Bonis non fu solo la donna spirituale di
cui in
apertura:
il poco tempo passato al Conservatoire - prima di quel matrimonio di
convenienza che la
vide
per sedici anni calata nel ruolo di moglie e madre - le permise un contatto con
la modernità da
cui
più tardi trasse ispirazione per far evolvere il proprio stile compositivo.
Dopo la fine della Prima
Guerra
Mondiale - e dopo un periodo di successo e riconoscimenti - il mondo della
musica perse
interesse
nella sua estetica ormai superata e l’isolamento, vissuto anche in gioventù, si
acuì.
A
questa terza fase malinconica della sua vita risale Au Crépuscule, op.111,
dove, come in
quadro
impressionista, Bonis descrive le sfumature del crepuscolo e la fusione di
lineamenti fra
cielo
e terra tramite una scrittura acquosa e sussurrata, interrotta solo
momentaneamente in un
guizzo
che ci riporta nella calma del calar del sole, mentre si manifesta una melodia
di suggestiva
semplicità.
Una
parte delle autrici finora affrontate ha vissuto la propria carriera con una
certa serenità.
Tuttavia
è bene ricordare che essere compositrici, in tutti i luoghi e in tutte le
epoche, è stato
complicato
- per chi più, per chi meno. Il talento, in certi casi, non è stato un motivo
sufficiente a
ricevere
sostegno e riconoscimenti, e per alcune soltanto la passione per la musica
permise di
resistere
alle complicazioni dell’esistenza. Lo sapeva bene Germanie Tailleferre
(1892-1983), la
cui
movimentatissima storia personale - fra violenza matrimoniale e sabotaggi
professionali - si
intreccia
inscindibilmente con le questioni stilistiche e professionali. Altra enfant
prodige, insegnava
pianoforte
per sostenere i propri studi prima dei 18 anni, e anche se vinse numerosi premi
e fu
parte
dell’avanguardistico Group des Six, lavorò duramente tutta la vita per
assicurarsi
indipendenza
e stabilità economica, accettando compromessi e cimentandosi in attività
musicali
collaterali
- similmente a Chaminade.
Nel
suo catalogo sconfinato - nel quale vi è un’evidente evoluzione stilistica che
parte dal tardo
romanticismo
francese e arriva alla politonalità - vi è molto repertorio per due pianoforti,
strumentazione
che peraltro adottava anche come base per la composizione della maggior parte
dei
suoi lavori, soprattuto se destinati all’orchestra. Composto nel 1946 e
dedicato a due gemelli,
l’Intermezzo
pour deus pianos è un Allegro composto nel caratteristico stile neo-barocco
dell’autrice
dall’atmosfera giocosa, dove il dialogo fra le parti si svolge sulla base di un
ostinato
ritmico,
sul quale si innestano motivi a conduzione politonale.
Parallelamente
al progredire della musica colta, nascevano già a partire dalla fine
dell’Ottocento
nuovi
generi musicali, originati in ambito popolare. Il Ragtime, nato all’interno
delle comunità nere
negli
Stati Uniti del sud, proliferò nelle sale da ballo di città come Saint Louis e
vide fra i propri
autori
anche numerose donne. La giovane pianista Irene Giblin (1888-1974) iniziò a
cimentarsi in
questo
genere intorno ai 14 anni, quando le sue doti di pianista vennero messe a
reddito in un
negozio
di musica allo scopo di promuovere gli spartiti in vendita. Pubblicò solo una
decina di
brani,
composti probabilmente durante le lunghe ore di lavoro, e raggiunse la fama
soltanto come
esecutrice,
nonostante fosse apparsa sui giornali in qualità di “compositrice di ragtime
più giovane
di
St. Louis”, abbandonando poi la carriera musicale una volta sposata.
Chicken
Chowder fu il suo brano più conosciuto, venduto ed eseguito anche in forma
orchestrale.
Composto
intorno al 1905, è basato su un unico tema, che viene esplorato differentemente
nelle
quattro
sezioni “classiche” del Ragtime.
I
primi anni del Novecento sono stati all’insegna della ricerca e della sperimentazione,
sia in campo
armonico
che ritmico e formale, nonché periodo di cambiamenti culturali. Già a partire
dalla fine del
secolo
la ricerca musicologica e quella antropologica iniziavano ad unirsi, e se da un
lato nascono
esperienze
come quella di Amy Beach o Béla Bartòk, alla ricerca di suoni e melodie
popolari,
dall’altro
troviamo quelle di Leoš Janàček o Ivana Lang (1912-1982), improntate sullo
studio dei
rapporti
fra vernacolo e ritmo. A differenza della connazionale e più cosmopolita Dora
Pejačević, il
lavoro
di Lang rimase sempre - ed è ancora - legato alla Croazia e alla città di
Zagabria,
probabilmente
proprio per il profondo rapporto che la sua arte aveva con le culture slava e
istriana.
Nel
suo catalogo infatti, che supera i 110 numeri d’opera, si riscontra un lavoro
in questo senso
persistente,
nel quale lo studio della parola e della melodia non si limita ad una
riproposizione dei
canti
così come tramandati da tradizione, ma vi è una rielaborazione artistica
rispettosa e
personale,
che trasporta il popolare nell’arte.
Anche
Lang si cimentò nella composizione di opere di ogni tipo, dal teatro al
repertorio orchestrale
e
cameristico, nonché nella miniatura pianistica. Tra i cicli per pianoforte
compaiono i Četri
kompozicije
(Quattro Pezzi) op.50, da cui sono tratti Waltz e Toccata.
Un
altra strada della ricerca musicale del Novecento risiede nelle sperimentazioni
con il suono e il
suo
ordinamento, col timbro e la strumentazione, oltre che col ritmo e le sue
origini culturali.
Nell’isolata
Russia post-rivoluzionaria, già a 5 anni la russo-tatara Sofia Gubaidulina
(1931) si
cimentava
in quelle esplorazioni che resero celebri autori come Cage, divertendosi a
inserire
giocattoli
e matite fra le corde del pianoforte. Fu sempre a quell’età che iniziò il suo
cammino verso
l’universo
spirituale e ben presto, parallelamente allo sviluppo di straordinarie capacità
espressive
e
tecniche al pianoforte, iniziò a comporre. Col tempo il suo stile è mutato e
maturato, sempre
muovendosi
fra misticismo, matematica e numerologia, ricerca e discussione delle regole,
portandola
di diritto fra i compositori più interessanti dell’ultimo secolo.
Dopo
un lungo e attento lavoro, nel 1965 fu completata la Sonata per pianoforte,
ultima delle sue
composizioni
che ancora impiegano, per quanto in libertà, notazione e struttura
tradizionali,
nonché
prima composizione sovietica a confrontarsi con la quasi proibita tecnica della
dodecafonia.
I tre movimenti della forma-sonata classica in cui è strutturata presentano
infatti una
moltitudine
di elementi originali, che vanno dai ritmi di gusto jazz alla tecnica estesa.
Nell’Allegretto
(mov. III), troviamo sette episodi - che riprendono elementi già affrontati nei
primi
due
movimenti - presentati in modo da indirizzare lo spirito dell’ascoltatore verso
un senso di
risoluzione
e liberazione.
Margherita
Casamonti