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Le Tastiere: dalla Suite barocca al Ragtime

La musica delle donne

Sabato 2 dicembre, ore 18
Sala Bossi

Concerto realizzato in collaborazione con:
Biblioteca Italiana delle Donna
Rotary eClub 2072
Fidapa
Casa delle Donne per non subire violenza - Bologna


Programma:

Mel Bonis (1858-1937)
Toccata
Alessandra Di Benedetto, organo

Elizabeth Jaquet de La Guerre
(1665-1729)
Tre brani estratti dalla Suite n.3 Preludio, Giga, Ciaccona
Yui Mochizuki, clavicembalo

Marianne Martinez
(1744-1812)
Sonata in La maggiore
Laura di Cera, fortepiano

Clara Wieck-Schumann
(1819-1897)
dalle Soirées Musicales op.6, Toccatina
Noa Draghetti, pianoforte

Pauline Viardot-Garcia
(1812-1910)
dai Pieces pour Piano (1885), Sérénade
Sofia Cristano

Fanny Mendelssohn-Hensel
(1805-1847)
da Das Jahr: Gennaio, Dicembre
Alessandro Lunghi

Cécile Chaminade
(1857-1944)
dagli Etude de Concert op.132, Etude Romantique
Yemin Park

Maria Wołowska-Szymanowska
(1789-1831)
dai Vingt Exercices et Préludes pour le pianoforte (1819), Studio n.5
Margherita Casamonti

Amy Beach
(1867-1944)
dai Four Sketches op.15, Fire-Flies
Margherita Casamonti

Ethel Smyth
(1858-1944)
dai Two Canons, Notturno
Matilde Bianchi

Lili Boulanger
(1893-1918)
dai Trois Morceaux pour Piano: Cortège
Sofia Cristano

Agathe Backer Grøndahl (1847-1907)
dagli Etude de Concert op.11, n.1
Margherita Casamonti

Mel Bonis

Au Crépuscule
Iacopo Ciani

Germanie Tailleferre
(1892-1983)
Intermezzo, per due pianoforti
Noa Draghetti-Francesco Brazioli

Irene Giblin
(1888-1974)
Chicken Chowder Ragtime
Tommaso Malaguti

Ivana Lang
(1912-1982)
dai Quattro Pezzi op.50: Toccata e Waltz
Tommaso Malaguti

Sofia Gubaidulina
(1931)
dalla Sonata per pianoforte, III mov. Allegretto
Elena Janeva


«Divina musica, tu registri i sogni, le aspirazioni verso una felicità che non esiste quaggiù. È il linguaggio dell’anima ardente e tenera, che in lei trova gli accenti essenziali, le parole sono troppo materiali per raccontare le meraviglie suggerite dallo spirito». Apriamo il programma con questo estratto dai diari di Mel Bonis, autrice del primo - e del tredicesimo - brano della serata e donna esemplare per l’intento della rassegna. Ogni epoca ha visto sorgere il talento in una moltitudine di persone, indipendentemente dal genere e, parzialmente, dall’estrazione sociale. Il mondo accademico ha promosso per molto tempo una narrazione degli eventi che esclude certi elementi, omessi in quanto “poco importanti”, pregiudicando l’immagine che ognuno ha della storia della musica. Ampliando lo sguardo scopriamo invece una moltitudine di personaggi, che hanno influenzato il percorso storico e l’opera degli autori più conosciuti, e che quindi hanno avuto un ruolo tanto nella formazione dei canoni quanto nella loro rielaborazione - o che semplicemente hanno generato bella musica senza la pretesa di inventare il futuro. La scelta della musica per questa sera - in generale di breve durata - ha un intento principalmente esplorativo, e ci auguriamo che esorti il pubblico ad esplorare il catalogo di ognuna di queste compositrici. 

Riprendendo l’estratto in apertura, l’opera e la vita di Mel Bonis (1858-1937) possono riassumersi con due parole: musica e spiritualità. Molte delle opere nel suo catalogo infatti nascono dalla necessità di celebrare il rapporto col divino, ispirandosi a scene bibliche, utilizzando testi devozionali ed esplorando gli elementi più evocativi della musica. Non è un caso dunque che, oltre alla copiosa produzione per pianoforte, Bonis abbia approfondito la scrittura per organo - strumento che studiò al Conservatoire di Parigi con Cesar Franck - per il quale compose numerose opere fra il 1911 e il 1937, destinate sia al servizio liturgico sia al repertorio laico, fra le quali si annovera anche la Toccata op. 97. Le vicende di vita personale la videro prendere una pausa dalla pubblicazione di circa 15 anni e nonostante fosse un’ottima pianista la sua carriera si concentrò principalmente sulla composizione. Inizialmente in stile tardo-romantico Bonis estese poi il proprio stile ad una maggiore sperimentazione, che l’annovera oggi fra i compositori impressionisti. Bonis rientra nella lunga lista di personaggi femminili influenti nel mondo della musica francese, inaugurata da Clementine de Bourges nel Rinascimento e continuata da Elisabeth Jaquet de la Guerre (1665-1729) nella seconda metà del Seicento. Il suo impatto nella scena musicale coeva era dovuto ad una originalità stilistica che, come per altri artisti patrocinati dal Re Sole, univa elementi della musica strumentale italiana e della tradizione cembalistica francese. I Pieces pour Clavecin, dai quali è tratta la Suite in Re minore, furono la prima pubblicazione dell’autrice - ad essi precedettero delle opere purtroppo perdute - nonché le creazioni con cui iniziò ad essere apprezzata dai contemporanei. A partire dal Preludio, i brani delle Suite sono composti secondo il gusto dell’epoca per danze e demandano ad un’eloquenza tipica della tradizione estemporanea e improvvisativa. De la Guerre condivide con molte autrici e autori un passato da enfant prodige. Una di questi fu Marianne Martinez (1744-1812), pianista e cantante i cui legami con personaggi influenti le permisero di costruire una posizione di rispetto nella scena musicale viennese del Primo Classicismo, fin dalla prima adolescenza, costituendosi ad oggi fra le autrici più eseguite del periodo - soprattutto su strumenti d’epoca e in contesti di prassi storicamente informata. Fra le numerose opere che compose, nello stile e nelle forme dei suoi maestri e contemporanei Haydn e Mozart, vi sono anche sonate per strumenti a tastiera. Pubblicata come parte di una raccolta di sonate scelte, la Sonata in La maggiore presenta un intento sperimentale dal punto di vista della forma e un’evidente influenza delle sonate di Scarlatti, facendo da “ponte” fra lo stile viennese e quello italiano, riflettendo allo stesso tempo un personale tipo di comunicatività. La maggior parte delle autrici vissute fino a tutto l’Ottocento proveniva da famiglie della piccola nobiltà, come Martinez, oppure era figlia d’arte, come De la Guerre. Anche Clara Wieck-Schumann (1819-1897) proveniva da una famiglia di musicisti ed è ad oggi tra gli enfant prodige più celebri della storia della musica. La rigida educazione a cui fu sottoposta causò col tempo un forte conflitto interno, che la vide combattere fra ispirazione artistica e ruolo sociale: nonostante il supporto altrui, riteneva che comporre per esibire le proprie doti fosse più accettabile, in quanto donna, che farlo per ragioni intellettuali. Ultima vera rappresentante della cultura Biedermeier, componeva opere ad uso esclusivamente concertistico e improntate sulla propria tecnica pianistica, che la fecero entrare di diritto nell’olimpo dei più grandi virtuosi del pianoforte di sempre. Nonostante col tempo abbia abbandonato la composizione per dedicarsi esclusivamente alla carriera da esecutrice, Wieck-Schumann ha lasciato un certo numero di opere, che riflettono la freschezza di spirito della gioventù. Fra queste vi sono le Soirées Musicales op.6, sei brani basati su forme all’epoca in voga, composti in adolescenza e che complessivamente mostrano la grande maturità artistica e performativa della giovane. Primo brano della raccolta, la Toccatina risulta brillante e agitata, fusione di bravura tecnica ed espressività. Anche Pauline Viardot-Garcia (1821-1910) fu a suo modo un prodigio giovanile e un punto di riferimento importante per la scena musicale coeva. Proveniente da una famiglia di cantanti, iniziò la propria attività già a otto anni, accompagnando al pianoforte le lezioni del padre e poi studiando a Parigi coi maggiori pianisti e compositori dell’epoca. Nonostante i risultati promettenti, intorno ai sedici anni concentrò le proprie energie nella carriera operistica, succedendo alla celebre defunta sorella Maria Malibran. Una volta sposata divenne un elemento centrale per l’ambiente francese, fungendo da madrina artistica per numerosi fra gli autori oggi più conosciuti, lavorando successivamente per portare la musica russa in Europa e collaborando con numerosi scrittori di rilievo. Avendo un rapporto viscerale col canto, la maggior parte delle sue opere appartiene al repertorio vocale - ma questo legame si riflette anche nella sua produzione strumentale, dalla forte componente melodica e cantabile. Nella Sérénade, seconda dei due Pieces pour Piano (1885) emergono l’esperienza col canto lirico e il dramma, inseriti in una dimensione pianistica miniaturistica, che ci trasportano in una Spagna fantastica e passionale. Nessuno ha saputo quanto deve essere difficile emanciparsi dall’ombra fraterna quanto Fanny Mendelssohn-Hensel (1805-1847), ad essa tutt’ora ingiustamente accostata. A differenza di Viardot, Hensel ebbe una carriera profondamente limitata dalla volontà della sua famiglia e fu in condizione di esprimersi come professionista solo una volta sposata, assumendo il cognome del marito nella pubblicazione delle opere come una sorta di licenza di libertà - cognome col quale, dunque, è preferibile chiamarla ancora oggi. La sua produzione, di pieno stile romantico, riflette l’educazione ricevuta all’insegna della tradizione, del contrappunto e dello studio approfondito dell’armonia e delle forme canoniche, ed è dunque ampia e variegata. Anche se in essa risulta evidente l’assidua pratica strumentale, appare chiaro come, a differenza di Clara Schumann, nelle sue intenzioni vi fosse più creare opere di intelletto che cimentarsi in dimostrazioni di abilità. Di respiro ampio ed esplorativo, il ciclo Das Jahr (L’Anno) - da cui ascolteremo Gennaio e Dicembre - consta di dodici brani, uno per ogni mese, composti incanalando l’atmosfera tipica di ogni periodo: si tratta di un’opera d’arte sinergica e multidisciplinare, ricca di riferimenti intertestuali, nella quale l’autrice unisce la propria musica a testi poetici e illustrazioni, ad opera del marito, per creare qualcosa che vada oltre la semplice esperienza uditiva - anticipando di molto le teorie wagneriane di “opera d’arte totale”, la formalizzazione della “musica a programma” e i concerti sperimentali di Satie. Ogni artista ha dovuto trovare la propria dimensione professionale, soprattutto a patire dalla seconda metà dell’Ottocento, con l’aumento generalizzato di donne lavoratrici: dovendo combattere lo stigma, ritagliarsi uno spazio era dunque necessario, per quanto difficile. In questo periodo quando una donna vuole vivere di musica l’ambiente musicale rivolge su di lei una grande lente d’ingrandimento, per cercare difetti da implicare alla sua appartenenza di genere. Il difficile rapporto con la critica musicale di Cécile Chaminade (1857-1944) fu alla base della scelta di condensare la propria attività nel genere della miniatura pianistica - che tuttavia non la impegnò in modo esclusivo: le opere di ampio respiro e i cicli (per pianoforte solo, formazioni cameristiche e sinfoniche) rientrano infatti fra le sue opere di miglior fattura. Fra i numerosi lavori antologici del suo catalogo, quello degli Etude de Concert op.35 e op 132 è certamente il più conosciuto ed eseguito, apprezzato tanto dal pubblico quanto dai concertisti, fin dalla sua prima pubblicazione. A differenza degli studi da concerto di altri autori, gli Etude di Chaminade contengono diversi elementi tecnici, e sono suddivisi in tre parti in contrasto espressivo. La tradizione pianistica romantica e tardo-romantica di autori come Chaminade, trova le sue radici nei compositori nati a cavallo fra Sette e Ottocento, dalla cui esperienza in seguito si sono stabilizzati vari filoni (come il Biedermeier, di cui fu esponente Clara Wieck-Schumann, o la tradizione chopiniana): tra questi vi fu la polacca Maria Wołowska-Szymanowska (1789-1831). Pianista celebre e acclamata, che collaborò con alcuni dei maggiori artisti dell’epoca (fra cui Giuditta Pasta, Luigi Cherubini e tanti altri) Szymanowska si cimentò in composizioni pianistiche, nonché cameristiche e orchestrali, di carattere brillante e dalla tecnica virtuosistica, dalle quali emerge l’estetica tipica di quella stessa Polonia che diede i natali a Chopin - sul quale ebbe una notevole influenza - arricchita da un uso personale dell’armonia. Attiva e acclamata tanto come esecutrice quanto come compositrice, possedeva un approccio innovativo al pianoforte, lirico e virtuosistico, e si esibiva principalmente a memoria ben prima della succitata Schumann o di Liszt. Fra le sue opere didattiche spiccano i Vingt Exercices et Préludes pour le pianoforte (1819), dai quali stasera ascolteremo il breve e movimentato Prelude n.18. Ogni compositrice ha vissuto la propria carriera in rapporto diverso con l’ambiente culturale circostante: mentre Chaminade si trovava in conflitto con la critica e con molti dei colleghi, Amy Beach (1867-1944) fu fin da subito parte integrante dell’ambiente musicale americano, arrivando a influenzare fortemente le tendenze stilistiche nazionali e contribuendo alla formazione delle prime reti sociali fra compositrici - storicamente isolate fra loro - ottenendo una posizione stabile nel repertorio a livello internazionale. La diffusione del repertorio di Beach è oggi disomogenea: a differenza di altri paesi, in Italia è raro che la sua musica venga eseguita e che gli stessi musicisti e musicologi ne conoscano il lavoro. Eppure anche qui il suo nome era conosciuto, grazie alla dedizione con cui organizzava le proprie tournée concertistiche internazionali - passò molto tempo fra Roma e Como, esibendosi con successo in diverse città della Penisola. Attratta fin dall’infanzia dai canti degli uccelli, che incorporava spesso nelle composizioni, e dalla musica di origine popolare, si cimentò spesso in composizioni che uniscono tradizione armonica e ricerca melodica, arricchita dall’osservazione dei suoni della natura. A questi elementi che attinse anche per la composizione dei Four Sketches op.15, dai quali Fire Flies è tratto: il volo delle lucciole è rappresentato dall’andamento rapido e fluido della mano destra, sottolineato dal “lampeggiare” del basso, ed è evocato da una generale atmosfera di leggerezza. Anche Ethel Smyth (1858-1944) contemporanea e quasi coetanea di Chaminade e Beach, fu più celebre in vita di come risulta oggi. Dotata di presenza e personalità prorompenti, Smyth fu coinvolta nei moti del primissimo femminismo - trovandosi in aperto disaccordo con le succitate colleghe sulle questioni politiche e sociali - e usò la propria determinazione per ritagliarsi uno spazio nell’ambiente musicale coevo, affermandosi come operista e divenendo conosciuta a livello internazionale come autrice di composizioni monumentali. Le sue opere pianistiche sono per la maggior parte giovanili, composte prima o poco dopo il suo ingresso in conservatorio - e pubblicate solo di recente - nate come esercizi “di stile” nei quali tuttavia trova spazio un interessante sperimentalismo. Il Notturno in Do minore, primo dei Two Canons (c.a 1880), è infatti il risultato della sua capacità unica di rendere poetico un esercizio scolastico - un canone a inversione - unendo l’atmosfera introspettiva delle forme antiche con l’espansività dell’estetica romantica. Mentre la fama di Smyth si è consumata nel tempo, quella di Marie-Juliette Olga (Lili) Boulanger (1893-1918) si è mantenuta fino ad oggi, rientrando tra le poche figure femminili note anche nel contesto musicale italiano. Similmente a molte sue predecessore, Boulanger era figlia d’arte, ma a differenza della maggior parte delle artiste ricevette un sostegno duraturo sia dalla famiglia che dall’ambiente circostante. La sua vita fu spezzata a soli 24 anni, non senza il raggiungimento di notevoli successi professionali - intervallati dalle sofferenze della malattia: fra i pochi autori a firmare un contratto con Ricordi in gioventù e fondatrice di associazioni per il sostegno ai musicisti, Boulanger fu la prima donna a vincere l’ambìto Prix de Rome, componendo numerose opere di grande qualità. Spesso ci si è chiesti quali risultati straordinari avrebbe potuto raggiungere la sua arte, a giudicare almeno dalle opere che ha lasciato, se la vita le avesse concesso più tempo. Esemplificative di questo futuro glorioso sono le Trois Morceaux: composte nel 1914, trasportano l’ascoltatore in varie e diversificate atmosfere, fra malinconia e senso di sospensione, come in D’un jardin Claire, e vitalità, come in Cortège. La famiglia della norvegese Agathe Backer Grøndahl (1847-1907) - sorella della celebre pittrice impressionista Harriet Becker - sostenne i suoi studi solo finché non decise di fare della musica una carriera, ritenendo, come anche il suo famoso maestro Theodor Kullak, che dovesse mantenerla allo stato di “ornamento”. Agathe non ebbe mai dubbi e, anche dopo il matrimonio, condusse una carriera completa senza accettare limitazioni. Dividendosi fra composizione, insegnamento e attività concertistica internazionale (interrotta con la perdita completa dell’udito) Grøndahl si cimentò in ogni tipologia di opere strumentali e vocali, soprattutto pianistiche, lavorando con alcuni dei più importanti autori suoi contemporanei - dei i quali Grieg fu il suo più grande estimatore. Nel suo catalogo godono di una certa celebrità i 6 Etude de Concert op.11, il primo set di questo tipo in cui si cimentò, che riflettono da un lato le influenze del repertorio della sua formazione - Brahms, Chopin, Grieg - e dall’altro uno stile personale, che combina tecnica pianistica e lirismo all’interno del format dello Studio. Il primo, dedicato proprio a Kullak, è incentrato su un solo specifico tipo di tecnica pianistica e mostra la bravura sia tecnica che didattica dell’autrice. Nell’arco della sua travagliata esistenza, Mel Bonis non fu solo la donna spirituale di cui in apertura: il poco tempo passato al Conservatoire - prima di quel matrimonio di convenienza che la vide per sedici anni calata nel ruolo di moglie e madre - le permise un contatto con la modernità da cui più tardi trasse ispirazione per far evolvere il proprio stile compositivo. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale - e dopo un periodo di successo e riconoscimenti - il mondo della musica perse interesse nella sua estetica ormai superata e l’isolamento, vissuto anche in gioventù, si acuì. A questa terza fase malinconica della sua vita risale Au Crépuscule, op.111, dove, come in quadro impressionista, Bonis descrive le sfumature del crepuscolo e la fusione di lineamenti fra cielo e terra tramite una scrittura acquosa e sussurrata, interrotta solo momentaneamente in un guizzo che ci riporta nella calma del calar del sole, mentre si manifesta una melodia di suggestiva semplicità. Una parte delle autrici finora affrontate ha vissuto la propria carriera con una certa serenità. Tuttavia è bene ricordare che essere compositrici, in tutti i luoghi e in tutte le epoche, è stato complicato - per chi più, per chi meno. Il talento, in certi casi, non è stato un motivo sufficiente a ricevere sostegno e riconoscimenti, e per alcune soltanto la passione per la musica permise di resistere alle complicazioni dell’esistenza. Lo sapeva bene Germanie Tailleferre (1892-1983), la cui movimentatissima storia personale - fra violenza matrimoniale e sabotaggi professionali - si intreccia inscindibilmente con le questioni stilistiche e professionali. Altra enfant prodige, insegnava pianoforte per sostenere i propri studi prima dei 18 anni, e anche se vinse numerosi premi e fu parte dell’avanguardistico Group des Six, lavorò duramente tutta la vita per assicurarsi indipendenza e stabilità economica, accettando compromessi e cimentandosi in attività musicali collaterali - similmente a Chaminade. Nel suo catalogo sconfinato - nel quale vi è un’evidente evoluzione stilistica che parte dal tardo romanticismo francese e arriva alla politonalità - vi è molto repertorio per due pianoforti, strumentazione che peraltro adottava anche come base per la composizione della maggior parte dei suoi lavori, soprattuto se destinati all’orchestra. Composto nel 1946 e dedicato a due gemelli, l’Intermezzo pour deus pianos è un Allegro composto nel caratteristico stile neo-barocco dell’autrice dall’atmosfera giocosa, dove il dialogo fra le parti si svolge sulla base di un ostinato ritmico, sul quale si innestano motivi a conduzione politonale. Parallelamente al progredire della musica colta, nascevano già a partire dalla fine dell’Ottocento nuovi generi musicali, originati in ambito popolare. Il Ragtime, nato all’interno delle comunità nere negli Stati Uniti del sud, proliferò nelle sale da ballo di città come Saint Louis e vide fra i propri autori anche numerose donne. La giovane pianista Irene Giblin (1888-1974) iniziò a cimentarsi in questo genere intorno ai 14 anni, quando le sue doti di pianista vennero messe a reddito in un negozio di musica allo scopo di promuovere gli spartiti in vendita. Pubblicò solo una decina di brani, composti probabilmente durante le lunghe ore di lavoro, e raggiunse la fama soltanto come esecutrice, nonostante fosse apparsa sui giornali in qualità di “compositrice di ragtime più giovane di St. Louis”, abbandonando poi la carriera musicale una volta sposata. Chicken Chowder fu il suo brano più conosciuto, venduto ed eseguito anche in forma orchestrale. Composto intorno al 1905, è basato su un unico tema, che viene esplorato differentemente nelle quattro sezioni “classiche” del Ragtime. I primi anni del Novecento sono stati all’insegna della ricerca e della sperimentazione, sia in campo armonico che ritmico e formale, nonché periodo di cambiamenti culturali. Già a partire dalla fine del secolo la ricerca musicologica e quella antropologica iniziavano ad unirsi, e se da un lato nascono esperienze come quella di Amy Beach o Béla Bartòk, alla ricerca di suoni e melodie popolari, dall’altro troviamo quelle di Leoš Janàček o Ivana Lang (1912-1982), improntate sullo studio dei rapporti fra vernacolo e ritmo. A differenza della connazionale e più cosmopolita Dora Pejačević, il lavoro di Lang rimase sempre - ed è ancora - legato alla Croazia e alla città di Zagabria, probabilmente proprio per il profondo rapporto che la sua arte aveva con le culture slava e istriana. Nel suo catalogo infatti, che supera i 110 numeri d’opera, si riscontra un lavoro in questo senso persistente, nel quale lo studio della parola e della melodia non si limita ad una riproposizione dei canti così come tramandati da tradizione, ma vi è una rielaborazione artistica rispettosa e personale, che trasporta il popolare nell’arte. Anche Lang si cimentò nella composizione di opere di ogni tipo, dal teatro al repertorio orchestrale e cameristico, nonché nella miniatura pianistica. Tra i cicli per pianoforte compaiono i Četri kompozicije (Quattro Pezzi) op.50, da cui sono tratti Waltz e Toccata. Un altra strada della ricerca musicale del Novecento risiede nelle sperimentazioni con il suono e il suo ordinamento, col timbro e la strumentazione, oltre che col ritmo e le sue origini culturali. Nell’isolata Russia post-rivoluzionaria, già a 5 anni la russo-tatara Sofia Gubaidulina (1931) si cimentava in quelle esplorazioni che resero celebri autori come Cage, divertendosi a inserire giocattoli e matite fra le corde del pianoforte. Fu sempre a quell’età che iniziò il suo cammino verso l’universo spirituale e ben presto, parallelamente allo sviluppo di straordinarie capacità espressive e tecniche al pianoforte, iniziò a comporre. Col tempo il suo stile è mutato e maturato, sempre muovendosi fra misticismo, matematica e numerologia, ricerca e discussione delle regole, portandola di diritto fra i compositori più interessanti dell’ultimo secolo. Dopo un lungo e attento lavoro, nel 1965 fu completata la Sonata per pianoforte, ultima delle sue composizioni che ancora impiegano, per quanto in libertà, notazione e struttura tradizionali, nonché prima composizione sovietica a confrontarsi con la quasi proibita tecnica della dodecafonia. I tre movimenti della forma-sonata classica in cui è strutturata presentano infatti una moltitudine di elementi originali, che vanno dai ritmi di gusto jazz alla tecnica estesa. Nell’Allegretto (mov. III), troviamo sette episodi - che riprendono elementi già affrontati nei primi due movimenti - presentati in modo da indirizzare lo spirito dell’ascoltatore verso un senso di risoluzione e liberazione.

Margherita Casamonti